La holding estera risiede dove si prendono le decisioni gestionali

La nozione di “sede dell’amministrazione”, opposta a quella di “sede legale”, deve ritenersi sovrapponibile a quella di “sede effettiva”, intesa come luogo nel quale hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente risultando il luogo deputato, o regolarmente utilizzato, per l’accentramento degli organi e degli uffici societari in funzione del compimento degli affari e dell’impulso all’attività dell’ente. A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione attraverso la sentenza n. 16667/2019. La pronuncia ha individuato nella sede amministrativa il driver, interno e convenzionale, per attribuire la residenza dell'ente nel Paese nel quale viene effettivamente svolta l'attività direttiva e decisionale, che può risultare differente da quello nel quale la società ha la propria sede legale. Nel caso in esame una società olandese è risultata soccombente in C.T.R. in quanto è stato riconosciuto dai Giudici che le decisioni, le strategie e le autorizzazioni di investimento giungevano dai vertici della controllante (residenti e operanti in Italia). La Corte suprema, confermando la decisione della regionale, ha individuato, nella struttura dei Paesi Bassi, un mero “luogo di disbrigo di affari correnti” sussistendo valevoli motivazioni comprovanti la situazione rappresentata, espressa da uffici di modeste dimensioni, dalla presenza di soli due dipendenti (meri esecutori delle disposizioni provenienti dall'Italia) e da direttive impartite dal bel paese anche per vicende di modesta rilevanza. La Cassazione ha pertanto ritenuto che la sede dell'amministrazione della holding olandese, ai sensi del co. 3 dell'art. 73 del D.P.R. 917/1986, così come la sede di direzione effettiva, ai sensi dell'art. 4 della Convenzione tra i due Paesi, si trovasse effettivamente in Italia. Un caso analogo, che ha interessato il gruppo D.& G., si è concluso favorevolmente al contribuente con la sentenza di Cassazione (Sez. tributaria) n. 33234/2018 che ha fatto seguito alla sentenza penale n. 43809/2015. Nella sentenza civile il Collegio ha ribadito i principi generali sulla libertà di stabilimento nell'Unione Europea, limitabili solo qualora lo scopo centrale dell'operazione sia quello di ottenere un vantaggio fiscale indebito. Tale verifica, tuttavia, deve essere eseguita caso per caso, evitando di applicare criteri generali predeterminati. La Suprema Corte ha richiamato inoltre la sentenza Cadbury Schweppes, giungendo alla conclusione che la configurazione dell'abuso del diritto di stabilimento non richiede la prova dell'esistenza di ragioni economiche differenti dalla convenienza tributaria, ma dall'accertamento della possibile artificiosità della costruzione giuridica, che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica. Anche sulla base degli accertamenti penali, la Corte ha preso atto che “qualcosa in Lussemburgo effettivamente si faceva, sì da giustificare una sede amministrativa collocata in una struttura diversa da quella legale e i costi del personale. Nella sentenza in commento, tuttavia, il ragionamento è stato ribaltato rispetto alle sentenze D.&G. poiché, la sede olandese è stata considerata, in ragione dell'esiguità della struttura e dei compiti meramente esecutivi, una “realizzazione meramente artificiosa, finalizzata a scopi esclusivamente fiscali”.

 

Fonte: Roberto Bianchi, La holding estera risiede dove si prendono le decisioni gestionali, in Il Sole 24Ore, 25 giugno 2019.

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